I cocktail a misura di paghetta ecco il segreto di piazza Nascè

Repubblica — 03 dicembre 2008 pagina 10 sezione: PALERMO

C’ è chi aspira a diventare medico, chi avvocato, giornalista o giocatrice di pallavolo. Chi viene dalle zone residenziali e chi dall’ hinterland. Chi decide di festeggiarci un compleanno e chi di farne punto di partenza per la nottata in discoteca. E tutti l’ hanno eletta a luogo del cuore. è piazza Nascè, uno dei centri della movida notturna palermitana. Il motivo del suo successo? Tre euro a cocktail.
è venerdì e sono da poco passate le 23, quando i primi gruppi cominciano a gremire la piazza. Chiacchierano, sorseggiano un cocktail da un bicchiere di plastica trasparente con qualche cubetto di ghiaccio. Sono sorpresi che qualcuno voglia raccontare la loro serata: «Stiamo bevendo, ma tranquilli che non guideremo», risponde qualcuno, prevenuto. Ma basta uno scambio di battute e tutti accolgono con entusiasmo l’ idea di raccontarsi.
Chi sono, cosa pensano, di cosa parlano i ragazzi di piazza Nascè? Età media 20-22 anni, perlopiù studenti universitari, sono centinaia quelli che al suono delle note dei Doors, bevono una Beck’ s e cercano un argomento di cui parlare. Sì, perché «non sappiamo cosa fare e a volte ci annoiamo», dicono Giulia e Benny. C’ è chi frequenta questa piazza da un anno. Chi è veterano. Arrivano da ogni parte della città: da viale Strasburgo a corso dei Mille. E c’ è chi, addirittura, viene da Villabate, Baida e Tommaso Natale, pur di non mancare all’ appuntamento del venerdì e sabato sera.
Metodico anche il giro tra i bar e i pub. Si inizia da “Ai Vini d’ oro” o dal “Caffè e sfizi” e si finisce alla “Caffetteria Nascè”, un piccolo bar ad angolo con via Quintino Sella. «Il motivo è semplice – dice Andrea Ciulla, 27 anni, avvocato – nei locali qui vicino un cocktail costa 6 euro, mentre al “Nascè” solo 3 euro. E lo stesso vale per la birra». Con lui c’ è Francesca, 19 anni, che frequenta l’ Istituto tecnico statale per il Turismo Marco Polo e che da grande vorrebbe fare la giornalista: «L’ ambiente qui è carino. Lo frequento da un mese. è un punto di ritrovo per poi andare in discoteca».
Claudio Caruso, studente di scienze biologiche, si prepara a festeggiare il suo ventunesimo compleanno stappando una bottiglia di spumante, mentre gli occhi neri di Federica, studentessa di scienze motorie, scrutano e si interrogano sul motivo delle domande. Viso incorniciato tra lunghi capelli platino, le sue parole sono misurate. Ha poco tempo durante la settimana e un sogno in testa: diventare una giocatrice di pallavolo. Il suo mito è Paola Cardullo. Si allena tutto il giorno al Club Leoni e il venerdì sera piazza Nascè è il suo unico svago. Federica è la ragazza di Benny. Diplomato, disoccupato, paltò blu di panno. Spera di poter prendere il posto in banca del padre, e intanto confessa di aver ridotto le birre nel fine settimana. Ha 22 anni e già accusa problemi al fegato.
E cosa si beve alla Caffetteria Nascè? Sono trenta fogli A4 il segreto di uno dei locali più affollati della zona. Trenta cartoncini rosa, attaccati sotto lo specchio del bancone, riportano i nomi e gli ingredienti dei cocktail e invogliano soprattutto le giovani disinibite a districarsi nel mondo dei rum e dei gusti della vodka alla frutta. I drink più gettonati? «Nascè, Halloween, Valeria e Kiss – risponde Celestino, nome d’ arte del proprietario del bar, Mauro Castagnetta – ma anche la vodka liscia e la Redbull sono molto richieste». Istruttore di body building, Celestino è orgoglioso di aver inventato i miscugli.
I soldi per bere si ricavano quasi sempre da mamma e papà: una paghetta settimanale di 50 euro, utile anche per le ricariche, la benzina e le sigarette. Sono pochi, infatti, quelli che lavorano per mantenersi. Tra questi, Tommaso Caruso, laureando in economia aziendale, che ha lavorato in un call center e attualmente distribuisce giornali dei Rosanero, guadagnando 50 euro per tre giorni di lavoro.
Manfredi Farinella, studente di Scienze biologiche, non ha nessun bicchiere in mano. «Non veniamo qui per bere, ma solo per incontrare gli amici», spiega. è appoggiato alla parete del bar e chiacchiera con Luca, iscritto in Economia. Manfredi, infatti, fa parte del gruppo degli affezionati: coloro, cioè, che frequentano la piazza da due anni solo per stare insieme.
Il calcio? Sono pochi quelli che lo praticano. Ai ragazzi di piazza Nascè piacciono gli sport di élite. Ruggero gioca a golf, mentre Ferdinando fa canottaggio. è l’ una di notte. La piazza cambia volto. Le new entry danno il cambio ai primi arrivati, che un po’ brilli vanno a ballare. Clacson che impazzano, carri attrezzi che portano via le auto posteggiate sui marciapiedi, in doppia e tripla fila. Intanto, in piazza, restano solo vecchi vasi di gerani stracolmi di bottiglie vuote e bicchieri di plastica rotti.

SERENA MAROTTA GIUSEPPINA VARSALONA

Lezione di civiltà in via dei Nebrodi ‘Ripulite i bisognini dei vostri cani’

Repubblica — 06 dicembre 2008 pagina 20 sezione: PALERMO

«Oggi si dà lezione di civiltà». Così lasciano i banchi e vanno in strada muniti di cartelloni, volantini, pennelli, paletta e sacchetto. Ormai, da troppo tempo, la loro scuola è circondata dagli escrementi dei cani. Sono i ragazzi della media Pecoraro di piazza Europa. Il loro progetto, che si chiama “Salviamo i marciapiedi”, porta la firma di Anna Maria Calì, insegnante di Scienze motorie. Ad aiutarla c’ è la collega di tecnologia Giulia Bonito.
«Siamo stanchi di dover camminare guardando per terra – protestano i ragazzi della II A, III A e F – ma se non lo facciamo, ci portiamo in classe gli escrementi sotto le suole delle scarpe e attaccati alle ruote dei trolley. E la nostra lezione corre il rischio di trasformarsi in una caccia alla suola sporca».
Da qui la protesta che, ieri mattina, li ha coinvolti in una vera e propria campagna di sensibilizzazione davanti alla scuola e nelle strade del quartiere. Per attirare lo sguardo dei passanti, Fabiola e Valeria fanno il giro della scuola e, con il pennello, disegnano un cerchio attorno agli escrementi. Poi lasciano un cartoncino con su scritto: “Ehi, avete visto il mio padrone?” Qualche passante incuriosito, apprezza il gesto e suggerisce di farlo anche nelle altre vie. I “ragazzi sandwich”, Alessandro e Alberto, fanno la spola lungo il marciapiede di piazza Europa. Portano addosso due cartelloni. C’ è disegnato un cane che dice: «Non è colpa mia se sporco: è il mio padrone che non pulisce. Usa paletta e sacchetto».
Alessia e Francesco tengono in mano paletta e sacchetto: il loro compito è quello di mostrare ai passanti come si pulisce la pupù di Fido. Alle loro spalle, un cartello riporta le istruzioni per l’ uso. è scritto in francese: hanno eletto Parigi città simbolo di civiltà.
Martina e Carla sono le addette all’ informazione: illustrano le norme di tutela igienica della collettività contenute nella legge regionale numero 15 del 2000. Poi c’ è il gruppo degli intervistatori con due questionari studiati ad hoc per i padroni dei cani e per chi non ce l’ ha. «è un’ iniziativa lodevole – dice Edda Mancini, una delle tante passanti attratte dalla manifestazione – bisognerebbe multare i padroni dei cani per dare loro una lezione». Lei il cane non ce l’ ha, e le multe dovrebbero farle i vigili urbani. Ma da quanto non se ne sente parlare?
C’ è invece chi ha il cane e pulisce, come Rosalia Bonanzinga: «Pulisco sempre dove il mio cane sporca, ma regolarmente trovo i contenitori pieni. I sacchetti andrebbero svuotati», dice. Qualcuno a volte lo dimentica: «Pulisco quasi sempre», ammette ai ragazzi Giuseppe Sala, portiere di uno dei palazzi di via dei Nebrodi. Da sei anni si prende cura di Morgana, una meticcia bianca. Dietro la promessa che il «quasi» si trasformi in «sempre», i ragazzi gli lasciano il kit ricevuto dall’ Amia.
«Abbiamo chiesto all’ Amia di intervenire con lo scooby blu, la macchina per aspirare gli escrementi – spiega Anna Maria Calì – ma mi hanno risposto che sono entrambe guaste. Informati della nostra iniziativa, hanno consegnato 50 kit per i cani».
Intanto i ragazzi di terza A e F distribuiscono i volantini nei condomini e nei negozi di via dei Nebrodi: «Qualche negoziante ha appeso il volantino. Tutti hanno accolto con entusiasmo l’ iniziativa», racconta Giulia Bonino, l’ insegnante che ha accompagnato il gruppo. Alle 12 i ragazzi della Pecoraro trovano le loro «cittadine modello» che premiano con una coccarda: sono la signora Carla e Angela Leone, entrambe abitano nei pressi della scuola. Se fossero tutti come loro…

SERENA MAROTTA

Giovanni Abbate, L’ architetto che ai progetti ha preferito i cani

Repubblica — 09 dicembre 2008 pagina 10 sezione: PALERMO

Ha lasciato lo studio per dedicarsi ai cani. L’ architetto Giovanni Abbate, 61 anni, oggi gestisce il rifugio Eureka, in via Valenza, nella borgata di Villagrazia. Una struttura immersa nel verde che ospita 80 cani e assicura loro un pasto, cure e affetto ma che per mancanza di spazio li costringe all’ interno dei box.
Molti animali sono stati recuperati per strada, feriti. Altri lasciati legati al cancello del rifugio, e qualche cucciolo persino nel cassonetto. A ognuno di loro è stato scelto un nome. Da dicembre del ‘ 96, l’ architetto Abbate si prende cura di loro. Una scelta che gli è costata 20 mila euro all’ anno, sacrifici e non poche difficoltà: da quelle economiche a quelle burocratiche, sino all’ intolleranza di qualche vicino disturbato dalla presenza dei cani. Due volte, negli anni scorsi, ha trovato i sigilli al cancello: la prima per un giorno. La seconda per un mese. Questo però non l’ ha scoraggiato, anzi.
Nessun rimpianto per la sua scelta. E di fronte allo stupore di chi lo ascolta, l’ architetto risponde: «Sono stato gratificato dalla professione. Ho cominciato realizzando un piccolo progetto per Ettore Cittadini, all’ ospedale Cervello. Dopodiché, mi hanno chiamato tutti i vari primari. Sono stato pure assistente all’ Università. Ho insegnato progettazione architettonica al liceo artistico sino al ‘ 93. A un certo punto, però, non riuscivo più a conciliare le cose – spiega – e quindi, nel 2003, ho deciso di lasciare lo studio e di occuparmi a tempo pieno dei cani».
Se ne è occupato da solo, per anni. Sacrifici ripagati con 340 euro l’ anno. è questo l’ ultimo contributo che nel 2004 il Comune ha stanziato per Eureka. Adesso ne servirebbero almeno 15 mila per le spese di manutenzione. Spese che l’ architetto non può più permettersi, come pure il mantenimento dei cani. Per questo motivo, a partire da marzo del 2007, con un’ ordinanza sindacale che viene reiterata, il Comune ha concesso ad Abbate un aiuto: ogni giorno, due operatori Gesip portano sacchi di croccantini al rifugio e lo aiutano a pulire.
L’ amore per gli animali l’ ha ereditato dal nonno materno, uno dei Villabianca, pronipote di Francesco Maria Emanuele Gaetani marchese di Villabianca, nobile e storico palermitano del Settecento. Con lui, nell’ azienda agricola di famiglia a San Piero Patti, in provincia di Messina, Giovanni Abbate trascorreva l’ estate finita la scuola. Erano gli anni Cinquanta. Lì viveva libero.
La stessa libertà che l’ architetto vorrebbe dare ai suoi cani. «Cerco di tenerli nel miglior modo possibile, ma non sono liberi. Vivono reclusi all’ interno dei box. è un carcere». Intanto, è difficile darli in adozione: «In un anno sono riuscito ad affidarne solo due – spiega. Bisognerebbe puntare sull’ anno dell’ adozione. L’ iniziativa temporanea, fatta alla vigilia delle elezioni, non serve a nulla. Il Comune dovrebbe finanziare delle campagne di sensibilizzazione adeguate. Si dovrebbe cominciare dalle scuole». Giovanni Abbate è una persona serafica. Spesso si sente ripetere da qualche amico una battuta: «Sei prescrivibile dalla mutua?»

SERENA MAROTTA

‘chi bellu ciauru’: il marchio di Rosario, sfincionaro di Borgo Nuovo

Repubblica — 16 dicembre 2008 pagina 8 sezione: PALERMO

Chi non conosce la sua abbanniata: «Chi bellu ciauru. è bello, ora ‘u sfurnavo. Io ci fazzu gràpiri ‘u pitittu». è l’ inconfondibile richiamo dello “sfincionaro”. E Rosario Gugliuzza, che da 22 anni fa il venditore ambulante di sfincione, all’ abbanniata ha aggiunto biglietti da visita e messaggio promozionale sul tettuccio della sua motoape: «Se sfincione vuoi mangiare da Rosario devi andare».

Ovale o rettangolare, con o senza formaggio, caldo o freddo: è lui, lo sfincione, il protagonista della cucina made in Palermo di cui Rosario, 41 anni, contribuisce a tenere viva la tradizione.

Tutto è cominciato allo stadio. Lì, suo suocero Giuseppe vendeva lo sfincione. Da lui Rosario ha imparato il mestiere. «Mio suocero era malato – racconta – e io sono un amante del pallone. Una domenica di 22 anni fa, allo stadio, mi sono offerto di aiutarlo. In poco tempo ho venduto tutto. L’ indomani, ho comprato il lapino e ho cominciato a vendere lo sfincione».

Il suo giro comincia alle 6,30 da piazza Sant’ Isidoro alla Guilla. è qui, che a notte inoltrata, alla “Centrale dello sfincionello” alzano le saracinesche: pentole enormi colme di cipolla si intravedono dalla piazza, mentre qualche gatto fa la guardia e un gruppo di ragazzi consuma la leccornia appena sfornata sul posto. Da qui Rosario, caricate le 15 teglie sul lapino arancione tirato a lucido, inizia la sua giornata lavorativa. Ha clienti di tutti i tipi: dalla massaia che gli abbassa il paniere dal balcone al professionista che fissa un appuntamento per raggiungerlo.

Sono le dieci di mattina quando in via Dante arriva, a bordo del suo scooter, Massimiliano Principe, commercialista che abita in piazza Croci. «Questo sfincione mi è piaciuto più degli altri – dice – ho incontrato Rosario in via Malaspina. Da allora, ogni volta che ho voglia di mangiare sfincione, gli telefono e ci diamo un appuntamento. Stasera ho amici a casa che non mangiano il formaggio, e questo è perfetto perché è senza».

Consegnate le cinque teglie, Rosario saluta il cliente e prosegue per via Parlatore. Il suo giro terminerà a Borgo Nuovo, dopo aver attraversato la Noce. Alle 20 Rosario potrà tornare a casa dalla moglie e dai figli: ne ha quattro, l’ ultimo arrivato ha poco più di un anno. Cosa gli darà Rosario da mangiare?

SERENA MAROTTA

Quegli atletici nonnetti della Cives ‘Twist e ginnastica, si torna giovani’

Repubblica — 19 dicembre 2008 pagina 14 sezione: PALERMO

A loro non servono tute griffate, portano addosso qualcosa che non si può comprare: il rispetto di sé e degli altri. Sono i 75 “Anziani in movimento” dell’ associazione Cives, guidati da Pamela Cuccia, 33 anni, diplomata Isef e operatore della terza età.
Qui, nella palestra della scuola elementare Eugenio Salgari di via Paratore, nel quartiere Oreto, alle 16.30 comincia la seconda lezione di ginnastica dolce. Sono tutti disposti a cerchio, si tengono la mano, in ogni volto è scolpito un sorriso.
Niente allenamenti estenuanti, ma solo esercizi mirati che servono a mantenere il corpo elastico per continuare a compiere i gesti di ogni giorno, senza dover chiedere aiuto a nessuno: lavarsi le spalle o infilare le calze, per esempio.
Sono quasi tutte donne, età media 60 anni. C’ è chi lascia il marito a casa, c’ è chi si iscrive con lui in palestra. «Quando mio marito è andato in pensione – racconta Angela Chifari, 61 anni, casalinga – ci siamo iscritti insieme. Questo è il quarto anno che frequentiamo il corso. Ormai i nostri figli e anche i nipoti sono cresciuti, quindi adesso possiamo prenderci cura di noi».
In tutto, un’ ora di ginnastica, due volte a settimana. I primi trenta minuti sono dedicati agli esercizi in piedi, come il “passo affrettato” o il “passo danzante”. Poi c’ è la corsa ai tappeti. E questa è la parte che meno preferiscono: sul tappeto arancione, c’ è Giuseppina Raiata, 58 anni, che agogna al fatidico stop di Pamela. Qualcuno dimentica la sequenza degli esercizi: «Puoi ripetere? L’ ho dimenticato», è la voce di Ferdinando Cocco, 63 anni, impiegato Enel in pensione, marito di Angela.
Intanto, tra l’ invito di Pamela a tenere la «pancetta in dentro», battute e risatine si susseguono gli esercizi. «Ne vediamo i benefici, dice Stefano Macchiarella, 62 anni, che segue il corso da quattro anni insieme alla moglie, Maria D’ Amico. Adesso, riesco a stare in piedi sull’ autobus senza correre il rischio di cadere, e a lavarmi le spalle da solo».
E non solo. La ginnastica fa bene anche all’ umore. Così la pensano Adele Durante, casalinga, che ogni giorno accudisce la madre disabile, e Maria Pia Cangemi: «Quest’ ora di ginnastica non deve togliercela nessuno. Ci serve a scaricare la tensione. Qui dimentichiamo tutto».
E se nel loro quartiere mancano le occasioni di svago per socializzare e divertirsi, è ancora in palestra che nascono delle belle amicizie: le tre coppie del gruppo, infatti, si organizzano per passare qualche ora insieme. In inverno, si riuniscono in casa per una partita a carte o escono a mangiare una pizza. In estate, invece, si scambiano le visite nei rispettivi luoghi di vacanza. La scorsa estate, a ferragosto, a casa di Maria e Stefano, a Termini Imerese, non si sono fatti mancare la caponata. Per smaltire i pranzi e le cenette, poi si torna in palestra.
Intanto, pur di non rinunciare alla ginnastica, loro si autofinanziano e pagano una quota mensile di 16 euro. L’ associazione Cives, infatti, nata nel ‘ 98, da tre anni non riceve più il contributo dal Comune. Costretti a rinunciare alle gite dei week-end in giro per la Sicilia, i giovani della terza età si concedono solo qualche uscita: una è quella che li ha visti tutti in pista a villa Scalea ieri pomeriggio: tra un twist e una bachata, panettone e spumante, si sono scambiati gli auguri di Natale. L’ altra a carnevale, tutti rigorosamente in maschera. Poi, a giugno, un’ altra serata danzante per la festa di fine corso. Prima, però, l’ appuntamento è al palazzetto dello sport, in viale dell’ Olimpo, per il saggio, nella speranza che sia agibile. Lì si esibiranno tutti gli “Anziani in movimento” dell’ associazione Cives, guidati dai dieci operatori Isef.

SERENA MAROTTA

La piazza tenuta viva dai ricordi

Repubblica — 31 dicembre 2008 pagina 9 sezione: PALERMO

I bambini che giocano in piazza, le passeggiate domenicali all’ ombra delle palme, il caffè sorseggiato al tavolo del bar, le carrozze in attesa dei viaggiatori davanti alla stazione e le partite a calcio organizzate dai ragazzini nella villetta restano solo un ricordo di chi in piazza Lolli ha trascorso la propria giovinezza.
Oggi a dare il benvenuto al passante in una delle piazze storiche della città ci sono una lavatrice e un frigorifero, che sbucano tra i numerosi cassonetti disposti poco distanti dalla statua dedicata al poeta Giovanni Meli. E questo è solo l’ inizio del percorso. Fatta eccezione per il tratto di strada tra i due distributori di benzina e il marciapiede davanti ai pochi negozi di accessori e delle palazzine che si affacciano sulla piazza, lungo tutto il marciapiede che costeggia l’ ex stazione ferroviaria, dismessa dagli anni Sessanta, ci sono cumuli di cartacce che la pioggia dei giorni scorsi ha trasformato in poltiglia, e rifiuti di varia natura: un tavolino di legno, un cartellone divelto, sacchetti di plastica, cicche, qualche ombrello rotto. Più avanti, all’ altezza del giardino della vecchia stazione, ci sono due divani e una decina di bottiglie di birra vuote per terra.
Si tratta dell’ angolo che la gente del posto ha soprannominato dei beddi chiaruti: qui, ogni pomeriggio, un gruppetto di persone consuma alcol in quantità.
«Era una piazza viva e pulita – dice Carmelo, 52 anni, residente – e adesso ci sono solo degrado e desolazione. Io faccio il cuoco, quando non lavoro mi fermo comunque qui a chiacchierare con gli amici». La piazza infatti continua ad essere un luogo di incontro per trascorrere qualche ora in compagnia.
«Ho trascorso in questa piazza tutta la mia gioventù – racconta Pietro Lo Bianco, 55 anni, amico di Carmelo – passavo qui intere giornate insieme agli altri ragazzini del quartiere. Trascorrevamo il nostro tempo nella villa a giocare a calcio. Il giorno dei morti giocavamo con le pistole appena ricevute in regalo. Ora c’ è solo degrado, purtroppo». Orgoglioso, Pietro mostra delle foto in bianco e nero che risalgono a 50 anni fa e che ritraggono lui e la sua famiglia proprio in piazza. Ricorda perfettamente ogni angolo della piazza di allora: «Dove oggi c’ è il venditore di caldarroste – dice Lo Bianco – c’ era un chiosco che vendeva bibite e il proprietario dava sempre al cocchiere l’ acqua per far bere i cavalli. Le carrozze sostavano tra la piazza e via Dante, all’ altezza del giardino della ex ferrovia. All’ interno del giardino – continua – c’ era un bar con i tavolini. Poi, negli anni, quel bar ha lasciato il posto a un pub e, dopo esser stato un campo di bocce dove si riunivano i vecchietti della zona, adesso è abbandonato».
Sono poche le persone che, come Pietro, continuano a frequentare la piazza. Ma tutti condividono lo stesso pensiero: «Rivogliamo piazza Lolli pulita e curata com’ era sino a vent’ anni fa». C’ è anche chi ci lavora da 19 anni, come Giovanni Tinnirello, che d’ estate vende i fichi d’ India e i meloni e d’ inverno le caldarroste. E ancora chi ci lavora da 40 anni: «Eseguo piccoli trasporti con il lapino – dice un uomo con gli occhi azzurri e i capelli bianchi – faccio il trasportatore da 40 anni. Quando funzionava la stazione invece, scaricavo i vagoni. Prima era una bella piazza, adesso è trascurata».
Ogni giorno Salvina Vitellaro arriva puntuale all’ appuntamento con Stellina, Diana e Poldo: sono i tre cani che la piazza ha adottato da circa dieci anni. Salvina poggia la borsa blu con dentro il cibo e intanto dà una sistemata alla cuccia allestita sotto il ficus. «Ho portato i croccantini e l’ acqua – dice – frequento questa piazza da quando sono nata. Mia madre mi portava ogni domenica a passeggiare nella villetta oppure mi portava al cinema Dante per guardare un film. Adesso vengo qui solo per prendermi cura dei cani. Diana tempo fa è stata male e per curarla servivano 800 euro, così abbiamo fatto una colletta e l’ ho portata dal veterinario».
E sullo stesso tratto di marciapiede, accanto al ficus, quando i pomeriggi non solo troppo freddi, alcuni vecchietti si organizzano per giocare a carte: «C’ era il campo di bocce dove i vecchietti potevano riunirsi – dice Salvina – ma da quando l’ hanno chiuso, il giardino raccoglie rifiuti di ogni tipo e i vecchietti sono costretti a stare per strada».
E se i tentativi di creare degli spazi ricreativi per i residenti sono finiti in una bolla di sapone, c’ è ancora un luogo nella piazza che rappresenta un pezzo di storia: è il cinema Dante, nato come cineteatro per il dopolavoro ferroviario. «è stato progettato nel 1939 per ospitare una compagnia filodrammatica – dice Salvatore Siviglia, che lo gestisce da nove anni – la sua storia di cinema inizia dal dopoguerra. Oggi seguiamo una programmazione regolare con film di prima visione». A pochi passi dal cinema, all’ angolo con via Selinunte, un segnale di vita viene da “Rossosiciliano”, un piccolo wine bar nato due mesi fa: «Lavoriamo più nei week-end – spiega il proprietario Marco Genzardi – apriamo per l’ aperitivo e stiamo qui sino a notte inoltrata. Il locale accoglie giovani che arrivano da varie zone della città, ma c’ è anche qualche residente che porta a spasso il cane e si ferma a bere un bicchiere di vino».
SERENA MAROTTA

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