“Non so se sono stata donna, non so se sono stata spirito.
Son stata amore”
Sibilla Aleramo.
Mi viene in mente questa citazione, leggendo le poesie di Serena Marotta, “un’adolescente cresciuta”, come si definisce essa stessa.
Adolescente nella misura in cui vuole che il suo amore sia avulso da qualsiasi materialismo che possa sporcarlo, inquinarlo, involgarirlo; che lo porti al passo dei tempi che viviamo, in cui non è rimasto nulla della freschezza della crisalide, che sogna “di indossare un tutù”, e che continua a danzare, “indossando i panni di adolescente, tra visi adulti e bambini, in uno spazio tutto suo, che si è trasformato”, quasi suo malgrado, “ in palcoscenico”.
Quindi emerge, dalla lettura, una volontà ferrea e determinata, di costruirsi un proprio spazio, una propria dimensione pulita e pura.
E un rifiuto netto di una realtà che non piace.
La disapprovazione nei confronti della realtà, e dei gridi di dolore che la pervadono, e che feriscono un animo adolescenziale per scelta, emerge in un’altra splendida poesia: “Il grido di un palazzo”.
La poetessa è turbata dal grido di un palazzo, “squarciato dal tempo”: esso “mostra il volto di un mondo precario del tempo che stiamo vivendo”.
Vede allora una lanterna che, rimasta salva, emana ancora luce, a rischiarare l’asfalto.
E “un bambino che gioca alla guerra: ricurvo, si ripara dagli spari.”
Il bambino ricurvo è un bambino che si isola dal resto del mondo, in una determinazione a proteggersi dai suoi spari. E la lanterna è una metafora della speranza, che comunque aleggia in ogni poesia: la speranza nell’avvento di un mondo migliore.
E sono occhi pieni di amore, quelli che la poetessa rivolge alla realtà, che viene plasmata e forgiata dal suo mondo interiore, come scrive in “Con gli occhi del pittore”: “Nasce un nuovo mondo sotto il mio tratto. E la tela prende vita dal mio sguardo”.
Posa uno sguardo carezzevole sulla sua Sicilia, irrorata dal sole, come scrive in “Sotto il sole di Sicilia”: non una Sicilia sporcata dalla mafia, ma una Sicilia che è “cornice alla sua vita”, una cornice di “pace, amore e rispetto”; su Palermo, di cui non nasconde tuttavia le piaghe, i “morti ammazzati” in sua difesa.
Una Palermo che “bugiarda, nasconde, protegge”.
Quindi balena il dolore, di cui purtroppo è intrisa la realtà. Adolescente sì, ma cresciuta.
Scrive: “Dimentico il sole per un momento: è rabbia, dolore”.
Ma l’unico antidoto contro il dolore dell’esistenza è l’Amore, nel senso più pieno del termine: a- mors, senza morte. Amore significa il non volere che l’Altro muoia, la promessa di una cura.
“Vibrano le mie mani cercandoti”, scrive. L’amore per il compagno, per l’Arte, per l’universo femminile, per le parole pregne di significato che prendono vita sulla carta, per il sole che è luce, per i ricordi più belli, che vanno gelosamente custoditi e rievocati. Amore per i figli, simbolo di una vita che non si arresta, che prosegue inesorabile il suo cammino: “sono donna, moglie, madre.” “Sono nonna e i miei occhi guardano lontano un profilo di donna, che ripercorre i sentieri della sua giovinezza”.
Scrive: “Penso all’Amore, che forse un giorno prenderà corpo: una magnifica visione mi seduce. Un ritmo mi fa compagnia, mentre ti penso danzare sulle note della mia voce”.
L’Amore quindi è la chiave della nostra esistenza; e solo all’amore viene riconosciuto, dalla poetessa, il potere di congiungere, in un unico corpo, sogno e realtà.
Ornella Mallo